L'imprenditrice Ivana Ciabatti: "Nessuno ci credeva, ora tratto a tu per tu con chi estrae l'oro"
Mai pensare di non essere all’altezza di una sfida. Le donne devono credere nelle proprie competenze, e nei propri sogni, senza aver paura di fallire. Così, tutto diventa possibile".
Può sembrare un po’ troppo ottimista Ivana Ciabatti, 64enne signora aretina che ha messo insieme dal nulla la Italpreziosi di Arezzo (oggi azienda leader nella lavorazione, nel commercio e nel trading di metalli preziosi e punto di riferimento per il polo orafo italiano e internazionale, con fatturato di 6 miliardi e mezzo nel 2020), sfidando fuochi di sbarramento maschili, in patria e non. Ma lei ne è convinta: no, non è questione ottimismo astratto, dice, "solo di fiducia in se stesse". Proprio quello, purtroppo, che tanto spesso alle donne manca. La prova sta nella sua stessa biografia, che parte da un paesino di contadini nel casentino, dove la piccola Ivana "sogna, guardando il cielo, di andare sulla luna", per poi, più grande, usare i depliant delle agenzie di viaggio "per le prime trasvolate immaginarie".
Finché arriva il primo viaggio vero, in autostop, e poi tutti gli altri, con mete sempre più lontane. E oggi che di mondo ne ha visitato «almeno due terzi», la signora può dire che il sogno dell’infanzia, intanto, è diventato realtà.
Ma c’è poi il resto. Sì, perché Ivana Ciabatti è una "imprenditrice autonoma", come tiene a dire, nel senso che ha fatto "tutto da sola". Ovvero, "facendomi aiutare, certo, quando è stato necessario, ma sempre mettendoci la faccia in prima persona, giocandomela con i miei mezzi". Il tutto, sia chiaro, senza affatto rinunciare alla famiglia, a un marito, e a due figlie educate anche loro, ovviamente, "a credere in se stesse", il miglior viatico per le giovani generazioni femminili. E così eccola, nel 1984, a 27 anni, trasformarsi da impiegata in un’azienda orafa in piccola imprenditrice in proprio, dopo aver contagiato con il suo entusiasmo "un socio finanziatore, che ha investito nel mio progetto", mentre lei, memore della parsimonia familiare, faceva benzina "a 10 mila lire a volta, per non spendere troppo".
E dopo poco, decidere il secondo salto: comprare la materia prima grezza da cui ricavare l’oro puro (in lingotti destinati agli orafi, agli investitori privati, ai caveau delle banche) direttamente dalle miniere. "Fu una rivoluzione, in Italia, allora, non lo faceva nessuno". Ivana fa le valigie, e, manco a dirlo, si mette in viaggio. L’impresa è ardua, il settore, ad ogni latitudine, dal Medio Oriente, all’Africa, all’America del nord e del Sud, all’Africa, all’Oceania, è dominato dai maschi e, dice lei, "credo di essere tuttora l’unica donna al mondo a trattare a tu per tu con gli estrattori, a chiedere di visitare le miniere". Follia? "Sì, ma in certi casi necessaria". Una volta, in Ghana, il re locale proprietario di una miniera le propone di diventare “regina madre’’, con tanto di rito di iniziazione: "Ho avuto una gran paura, ma lui voleva solo dirmi che mi dava fiducia".
In Arabia Saudita un suo interlocutore, dando per scontato di aver preso appuntamento con un uomo, si è rifiutato di riceverla, "ma io ho resistito, mi sono presentata per tre giorni di seguito, il terzo mi ha aperto la porta". Da allora, racconta la signora, "sono accolta ovunque con tutti gli onori, e la ragione è semplice: mi sono guadagnata la stima del settore", cioè dei maschi che lo presidiano, che pure hanno tentato di scoraggiarla con ogni mezzo (compreso il più usurato, il corteggiamento), senza però smuoverla di un millimetro.
E alle donne, da donna, Ivana vuole dirlo chiaro: "Lasciate perdere le quote rosa, che vuol dire non credere nelle proprie capacità, puntate su quel che sapete fare, che avete voglia di fare. E fatelo. Solo così si può avere ragione di un mondo maschile che frappone continui ostacoli, ma alla fine è costretto riconoscere il nostro valore". Banalmente: perché serve anche a loro.
Da "la Repubblica" del 7 Marzo 2021, di Maria Cristina Carratù.